L’ordinamento sportivo, come del resto l’ordinamento statale, stigmatizza pesantemente qualsiasi forma di discriminazione, sia essa dettata da motivi di razza, colore, religione e lingua.
Il Codice di Giustizia Sportiva stabilisce espressamente all’art. 11 “Responsabilità per comportamenti discriminatori” che “costituisce comportamento discriminatorio, sanzionabile quale illecito disciplinare, ogni condotta che, direttamente o indirettamente, comporti offesa, denigrazione o insulto per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine territoriale o etnica, ovvero configuri propaganda ideologica vietata dalla legge o comunque inneggiante a comportamenti discriminatori.”
Il caso Pogba - Meggiorini dimostra che, purtroppo, le lezioni di storia non sono servite a molto.
Considerare un insulto a chiare tinte razziste come normale sviluppo del gioco, magari dettato dalla trance agonistica, a parer di chi scrive, è allarmante.
Le parole di Mister Ventura tese, forse, a giustificare Meggiorini evidenziano quanto sia ancora lunga la strada da fare per inoculare il germe del buon senso: “mi sembra di capire che l'insulto sia stato 'brutto nero', così ho capito almeno. Non è una frase particolarmente violenta, una frase detta sotto stress come se ne dicono tante in campo”. No. Il fatto che, in campo, se ne dicano di tutti i colori non significa dover giustificare insulti razzisti.
Il termine “giurisprudenza” ha una serie di accezioni. Una di queste, forse quella di gran lunga prevalente nel linguaggio forense attuale, indica l’insieme del prodotto dell'attività giudiziaria, ossia le decisioni/sentenze emanate nel tempo.
La moltitudine delle decisioni emanate dagli organi giudicanti costituiscono i cosiddetti precedenti che, in un modo o nell’altro, influenzano i giudici che si trovino a dover decidere controversie analoghe.
In questo caso l’ordinamento sportivo deve essere assolutamente inflessibile.
Senza alcun accanimento nei confronti del granata Meggiorini, non si può correre il rischio di creare un precedente in virtù del quale comportamenti di tale tipo vengano “giustificati” e, dunque, non puniti.
Al comma 2 dell’articolo 11 del Codice di Giustizia sportiva viene stabilito che “il calciatore che commette una violazione del comma 1 è punito con la squalifica per almeno cinque giornate di gara o, nei casi più gravi, con una squalifica a tempo determinato e con la sanzione prevista dalla lettera g) dell’art. 19, comma 1, nonché con l’ammenda da € 10.000,00 ad € 20.000,00 per il settore professionistico”.
In realtà il rischio (concreto) di sanzioni non è corso solo da Meggiorini, ma anche dalla società granata.
Ebbene, sempre l’articolo 11 prevede una forma di responsabilità oggettiva in capo alle società in virtù della quale “sono responsabili delle dichiarazioni e dei comportamenti dei propri dirigenti, tesserati, soci e non soci di cui all’art. 1, comma 5 che in qualunque modo possano contribuire a determinare fatti di discriminazione o ne costituiscano apologia. La responsabilità delle società concorre con quella del singolo dirigente, socio e non socio di cui all’art. 1, comma 5 o tesserato”.
Se, dunque, gli esiti delle indagini svolte dalla Procura federale dovessero evidenziare la violazione dell’articolo 11 c.d.s. in capo a Meggiorini, il Torino verrebbe sanzionato conseguentemente.
Il concetto è sempre lo stesso “ignorantia legis non excusat”. In questo l’articolo 2 del Codice di giustizia sportiva è abbastanza preciso: “l'ignoranza dello Statuto e delle norme federali non può essere invocata ad alcun effetto”.
Avv. Cristian Zambrini