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Tuesday, 05 September 2017 15:17
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Ius soli: analisi del disegno di legge

Extracomunitari, lavoro, omosessualità e terrorismo: al giorno d’oggi discutere di certi argomenti porta in sé lo stesso rischio di camminare sui carboni ardenti.
Il seme del discordia si sviluppa però anche e soprattutto a causa delle strumentali polemiche che le varie fazioni politiche alimentano al sol fine di far incetta di voti.
La gente è confusa e arrabbiata e la storia ci insegna che l’estraneo, il diverso o anche solo l’inconsueto sono il bersaglio migliore su cui focalizzare e deviare le energie degli insoddisfatti distogliendoli dalla negligenza e incapacità della classe politica.

I vari politicanti fanno ormai la corsa alla confusione perché un elettore confuso è più facile da avvicinare e governare. Non è un caso che, negli ultimi anni, siano stati capaci di uscire dai loro acquitrini soggetti che ci saremmo volentieri risparmiati.  
Quando si parla di extracomunitari è facile muovere le masse strumentalizzando gli episodi di violenza da una parte o di razzismo dall’altra.
L’inclusione, l’eguaglianza e la tutela dei diritti, tuttavia, non possono essere condizionati dagli umori variabili o dalle sterili polemiche di soggetti che hanno l’unico obiettivo di irrobustire le basi delle loro poltrone.

 

È dalla fine del 2015, anno della approvazione da parte della Camera, che la legge di revisione dell’istituto della cittadinanza si trova al Senato in attesa di essere esaminata.
Le lotte intestine non si sono sprecate. Ma sono davvero le disposizioni normative che scaldano gli animi dei politici? In un contesto di globalizzazione e accettazione può davvero essere una maggiore e più diretta regolamentazione ad infervorare la massa?
La conoscenza è il potere più grande che l’essere umano possa avere. Ma l’inerzia e l’indolenza indotta dal sistema politico ha modellato una massa che preferisce urlare parole a caso piuttosto che studiare, conoscere ed agire.

 

La legge più recente sulla cittadinanza e la n. 91 e risale al 1992. In quegli anni gli unici extracomunitari che vedevamo in italia erano venditori ambulanti ed Eddie Murphy in tv. Tempi lontani e molti diversi da quelli attuali.
La legge stabilisce che i bambini nati da genitori stranieri, anche se partoriti sul territorio italiano, possono chiedere la cittadinanza solo dopo aver compiuto 18 anni e se fino a quel momento abbiano risieduto in Italia “legalmente e ininterrottamente”.
Cosa succeda e come vengano gestiti questi ragazzini fino al compimento dei 18 anni all’italiano medio non sembra interessare; se a causa dell’assenza della cittadinanza italiana questi vengono sbattuti da una comunità all’altra, tra burocrazia e scartoffie e trattati come stranieri anche se nati in italia nessuno se ne cura.
Il problema sorge solo al compimento di un reato. È, come sempre, un problema di cultura.

 

Complice anche la superficialità del giornalismo italiano, l’italiano ha attribuito alla nuova legge un concetto ritenuto estraneo alla nostra normativa: lo ius soli.
Tuttavia nella attuale regolamentazione esiste già una analoga modalità di acquisizione della cittadinanza connessa alla nascita sul territorio italiano:
chi è nato nel territorio della Repubblica, se entrambi i genitori sono ignoti o apolidi, acquisisce la cittadinanza italiana;
il figlio di ignoti trovato nel territorio della Repubblica, se non venga provato il possesso di altra cittadinanza, diviene cittadino italiano.
È facile comprendere come il polverone alzato sia solo il frutto di una scarsa conoscenza della normativa.
La legge posta al vaglio del Senato ha l’unico obiettivo di offrire una più diretta e completa regolamentazione anche nei riguardi dei soggetti che finora sono cittadini senza stato. 
La nuova legge introduce due ulteriori criteri per ottenere la cittadinanza prima dei 18 anni: lo ius soli temperato e lo ius culturae.
Lo ius soli puro prevede che chi nasce nel territorio di un certo stato ottenga automaticamente la cittadinanza: ad oggi, come già riferito, in italia è valido solo per chi sia figlio di ignoti.
Lo ius soli, presentato nella forma “temperata” al Senato, prevede che un bambino nato in Italia diventi automaticamente italiano se almeno uno dei due genitori risieda legalmente in Italia da almeno 5 anni.
Se il genitore in possesso di permesso di soggiorno è extracomunitario, dovrà rispettare altri tre parametri:
1) reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale;
2) disponibilità di un alloggio idoneo;
3) conoscenza della lingua italiana.

 

Attraverso l’applicazione dello ius culturae potranno, invece, chiedere la cittadinanza italiana i minori stranieri nati in Italia o arrivati entro i 12 anni che abbiano frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni e superato almeno un ciclo scolastico. I ragazzi nati all’estero che giungono nel territorio italiano fra i 12 e i 18 anni potranno ottenere la cittadinanza dopo almeno sei anni di residenza stabile e avere superato un ciclo scolastico.

 

I numeri dei soggetti che potrebbero accedere a tali strumenti sono importanti e fanno capire quanto sia impellente la necessità di gestire e regolamentare una comunità che rappresenta un futuro non così tanto lontano: 94.877 di cui 76mila bambini e ragazzi che beneficerebbero dello Ius soli e 19mila che rientrerebbero nello Ius culturae.
La logica sottesa al disegno di legge è chiara: in un periodo storico di apertura è sicuramente più intelligente porre questi numeri sotto la propria giurisdizione piuttosto che barcamenarsi tra normativa straniera e rapporti diplomatici.


Avv. Cristian Zambrini (www.studiolegalezambrini.it)

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