In Italia il diritto d’autore è disciplinato dalla legge n. 633/1941 la quale stabilisce che “sono tutelate le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione.”
La nota di chiusura della norma non è di poco conto. Una porta socchiusa dalla quale da oltre 50 anni hanno accesso una moltitudine di forme artistiche prima sconosciute.
Il Legislatore dell’epoca, con sguardo lungimirante, ha chiaramente evitato di porre limiti alle forme di espressione dell’ingegno. Ciò che oggi non è percepito come arte un giorno potrà esserlo.
Non può non notarsi anche che, in nessun articolo, la liceità dell’opera o della sua forma realizzativa è indicata come elemento essenziale.
In pratica anche se “imbrattare” il muro di una proprietà privata è sicuramente illecito questo non impedirà al suo autore di azionare i propri diritti sull’opera; che sia quello morale o strettamente economico.
Per chiarezza rientrano tra i “diritti morali” il diritto di pubblicare l’opera, di ritirarla e di mantenerne l’integrità. Tra i “diritti economici” rientrano il diritto alla riproduzione, pubblicazione, distribuzione e vendita dell’opera.
A differenza dei diritti morali che sono inalienabili, quelli economici possono essere sempre ceduti.
È chiaro che, al fine di poter concretamente esercitare una qualsiasi forma di diritto, tali opere devono avere una valenza artistica obiettivamente riconosciuta. Le velleità di tutelare l’integrità di un tag su un muro lasciano ovviamente il tempo che trovano.
Il caos generato dalla denuncia di Banksy al Mudec di Milano ci consente, per meglio comprenderne le ragioni, di soffermarci sul concetto di riproduzione.
La street art, per sua stessa natura, ha come supporto i muri della città, pertanto, gli unici modi utili per consentirne la riproduzione sono la fotografia o la duplicazione esatta.
Per quanto riguarda la fotografia in Europa si applica l’istituto della “Freedom of Panorama” che consente di fotografare monumenti, statue ed opere di street art solo per fini educativi o di ricerca. Deve essere escluso qualsiasi scopo di lucro.
Nel caso in cui, invece, si volesse sfruttare economicamente l’opera attraverso la sua riproduzione (fotografica o mediante duplicazione) bisognerebbe chiedere la licenza pagando una specifica tassa nel caso in cui la stessa rientrasse nella lista dei beni culturali; in tutti gli altri casi sarà necessario ottenere l’assenso da parte dell’artista o di chi ne detiene i diritti.
Quanto avvenuto al Mudec di Milano rientra proprio nel caso della riproduzione senza assenso.
Gli organizzatori della mostra incentrata sulle opere di Banksy avevano pensato bene di arrotondare gli incassi vendendo merchandising e materiale vario riproducente le opere dello street artist di Bristol.
Lo scopo di lucro associato alla riproduzione senza assenso delle opere ha legittimato l’artista ad adire le vie legali per interromperne la vendita del materiale e, dunque, il connesso sfruttamento economico non autorizzato.
Mettere in piedi una mostra a scopo culturale è ben diverso dal tentare di trarre profitto economico dalla vendita di materiale non autorizzato seppur ad essa connesso.
Un ulteriore elemento da non sottovalutare è che tali mostre sono spesso il frutto di veri e propri saccheggi dei muri delle città. Non sono pochi, infatti, i casi nei quali gli stessi promotori delle mostre siano i responsabili dello smantellamento di murature pur di entrare in possesso dell’opera.
Rispetto a tali episodi l’autore, che non abbia prestato il proprio consenso, potrà rivendicare il diritto morale dell’opera ed agire in giudizio al fine di tutelarla. L’autore mantiene, infatti, indipendentemente dalla eventuale cessione dei diritti di sfruttamento economico, il diritto, oltre che di rivendicare la paternità, di opporsi a qualsiasi sua deformazione, mutilazione o modificazione.
La street art non può essere considerata tale se decontestualizzata. È un dogma dei più grandi writers il pensiero secondo il quale la street art debba essere concepita nella sua totalità, dunque, sul suo supporto (il muro) e nel suo contesto urbanistico (le strade). Se estrapolata essa verrà distrutta.
Come invece si rapporta la proprietà dell’opera a quella dell’immobile sul quale essa è stata realizzata?
Se alcune opere possono, con specifici accorgimenti, essere rimosse dal loro supporto, altre non lo consentono se non con il rischio di essere distrutte.
Seppur è indiscutibile che la proprietà del supporto (il muro) appartenga al proprietario dell’edificio, nel caso in cui venga riconosciuto il valore artistico dell’opera, il soggetto in questione non sarà comunque autorizzato a distruggerla.
Negli Stati uniti esiste una specifica disciplina denominata “VARA” (Visual Artists Rights Act) che riconosce all’autore il diritto di evitare la distruzione dell’opera se vi è la possibilità di rimuoverla dal supporto.
Al riguardo, il VARA stabilisce che il proprietario dell’immobile ha l’obbligo di comunicare all’autore la volontà di distruggere il muro dove l’opera è stata realizzata. Sforzo di non poco conto visto che, generalmente, gli autori ricorrono ad acronimi o a pseudonimi nel firmare le loro opere.
L’autore dopo essere stato informato avrà novanta giorni per rimuovere l’opera. Oltre tale termine, il proprietario avrà la possibilità di distruggere l’opera stessa.
Avv. Cristian Zambrini (www.studiolegalezambrini.it)