Monday, 20 April 2020 16:24
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Coronavirus e la lenta agonia del sistema calcio

È giunto il momento di guardare in faccia la realtà dei fatti a dispetto degli sterili proclami e delle fumose promesse.

È giunto il momento di confrontare la realtà con le idee e le ipotesi che circolano in questi giorni sulla carta stampata e nelle dichiarazioni degli esponenti governativi.

Quanto i vertici del calcio italiano e del governo sono coscienti dell’ampiezza e delle condizioni di quel movimento che, con apparente semplicità, gestiscono?  

“Il calcio sviluppa un movimento di capitali da 5 miliardi di euro” (cit. Presidente Figc Gravina) ma quanti di questi vengono investiti nelle maggiori serie (Serie B e Serie A) e quanti invece nel resto delle categorie?

Quante concrete possibilità ha il calcio dilettantistico di sopravvivere all’impatto coronavirus a causa della assenza di progettualità finora dimostrata dalla Federazione?

Sono queste le domande che dall’inizio del lockdown si rincorrono nei pensieri di chiunque abbia un minimo di interesse nei confronti del calcio popolare inteso come quello alla portata di tutti.

 

Presidenti, calciatori, allenatori, preparatori atletici di Eccellenza, Promozione fino ad arrivare alla Serie D e finanche alla Serie C, lentamente maturano la convinzione di dover, a breve, dire addio alla propria passione.

“Passione” era questo il moto primordiale dello sport. L’Agone per diletto finalizzato al superamento dei limiti per realizzare la performance.

Il calcio dilettantistico nasce da questa idea ed è, senza dubbio, almeno per numero di praticanti, la fetta più grande e consistente del calcio italiano. Eppure, un po’ come a rappresentare la politica tutta, poiché ininfluente a livello economico è la parte più debole, priva di qualsiasi forma di interazione ed influenza.

Tuttavia, come spesso accade, gli anni di indifferenza ed ostruzionismo, nel caso specifico della Federazione, alla fine maturano il conto da pagare e, ad oggi, nessuno pare voglia mettersi le mani in tasca.

Se tali riflessioni finora sono restate nell’angolo delle ipotesi, la lettura del “protocollo emesso dalla Commissione scientifica federale per la ripresa degli allenamenti delle squadre” scioglie i residui dubbi.

Tale documento ignora totalmente l’esistenza del settore dilettantistico. Esso si indirizza esclusivamente alle società professionistiche. Come se la ripresa dei campionati inferiori o la pratica del dilettantismo fosse una mera eventualità.

Come se la regolarità dei campionati dovesse essere rispettata solo per il calcio professionistico. Ma non è così che stabilisce la normativa. Tale assioma vale per tutte le categorie.

Il documento, facilmente consultabile online, recita di voler “fornire le massime garanzie oggi possibili per tutelare la salute dei calciatori, degli arbitri e tutti gli addetti ai lavori in caso di ripresa degli allenamenti. Cercano di ridurre al minimo il rischio di contagio.”

Vien da chiedersi: tale sforzo vale solo per il professionismo? Far finta che il virus non esista nelle categorie inferiori non aiuterà certo a debellarlo o impedire il contagio dei suoi praticanti e, dunque, della popolazione.

I vertici dovrebbero guardare a tutto il sistema e non solo alla parte redditizia, almeno in questo momento.

Le linee guida emesse, senza alcun dubbio precise e dettagliate, impongono inderogabilmente a tutte le società numerosi protocolli ed accorgimenti prima dell’inizio delle attività oltre che durante.

Fornitura di mascherine (chirurgiche, FFP2 queste ultime con/senza valvola) e altri dispositivi di protezione individuale (guanti, occhiali, etc.); divisione degli atleti per categorie di esposizione al virus; utilizzo tamponi e test molecolari; continui controlli della temperatura; sanificazione di tutti gli ambienti (palestre, spogliatoi, sede tecnica). Queste sono solo alcune delle richieste, legittime, avanzate alle società.

Ma chi è nel mondo dilettantistico sa bene quanto siano irrealizzabili tali richieste se a dover far fronte alle relative spese dovranno esserlo le società.

Società, nella maggior parte dei casi strutturate nella forma di associazioni, che vivono di sponsor, sponsorizzazioni o delle mutualistiche donazioni dei loro Presidenti e soci, come potranno sobbarcarsi tali ingenti investimenti (seppur incontestabili per porre un freno alla diffusione del virus) senza alcuna entrata o aiuto?

La teoria è affascinante solo se può essere trasferita dalle carte ai fatti.

Il blocco dei campionati ha stretto intorno al collo del 90% delle società calcistiche un cappio che, già da tempo abbastanza stretto, rischia di comprometterne definitivamente l’esistenza.

Tra stipendi non pagati, fatture per forniture arretrate e assenza totale di incassi la situazione è già fin troppo catastrofica per richiedere a tali associazioni ulteriori sforzi economici.

Si sente spesso dire nei piani alti che il calcio dilettantistico è il motore del sistema sia in termini di diffusione che di crescita e creazione dei nuovi talenti. Tali parole, tuttavia, non sono mai state accompagnate dai fatti.

L’emergenza Coronavirus pone l’inevitabile ed ormai improcrastinabile necessità di ridisegnare il calcio da zero e dalle fondamenta dando, questa volta in maniera concreta, importanza centrale al settore dilettantistico non come finora è stato fatto.

Se si vorrà evitare il fallimento del sistema calcio, i vertici federali dovranno cominciare a guardare oltre il proprio orticello indirizzando e distribuendo risorse ed impegno anche verso il dilettantismo.  

Sarà meglio sbrigarsi poiché dopo aver contato le vittime del coronavirus a breve potremo essere costretti a contare quelle dell’indifferenza.

Avv. Cristian Zambrini (www.studiolegalezambrini.it)

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