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Monday, 29 October 2012 20:46
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Caso Morosini: i controlli imposti alle società sportive

La cardiomiopatia aritmiogena. A quanto pare sembra sia stata questa la causa della morte del giovane ex Livorno Piermario Morosini.
Se fosse vero quanto riferito dal Dott. Cristian D'Ovidio, medico legale all'Università di Chieti, il giovane calciatore sarebbe morto per una patologia legata ad una malattia genetica “molto difficile” da diagnosticare!!!

Leggendo la notizia in molti si saranno limitati a storcere il naso pensando quanto infame possa essere la sorte.
Molti altri, tra i quali il sottoscritto, si sono posti un unica drammatica domanda: può davvero una malformazione congenita sfuggire ai costanti controlli sanitari effettuati dalle società professionistiche così come imposto dalla normativa? Fino a prova contraria molto difficile non significa impossibile.

 

 

Definire “ambigui” gli ultimi tragici episodi che hanno colpito come una scure il calcio mondiale sarebbe, a dir poco, un eufenismo.
Nascondersi sotto lo squallido vello dell’ipocrisia non ha mai portato nulla di buono. Ecco perchè, senza voler emettere alcuna sentenza, in questo articolo si evidenzieranno le ragioni per le quali il sottoscritto e molti altri siano pronti a sostenere che dietro l’angolo si celi, forse, una nuova minaccia doping.

Il tempo ci ha insegnato, anche in virtù dei sempre più frequenti scandali, che il doping è sempre più avanti dell’antidoping. Non è un caso che, in numerosi episodi, sia stato evidenziato ed accertato il coinvolgimento di medici e/o esperti chimici stipendiati dalle stesse società.
Non pare ragionevole nascondere l’evidenza dei fatti anche se il sistema, a volte, ce lo impone. Gli ultimi orribili episodi, tra cui la morte del giovane Morosini, pongono inquietanti interrogativi: nel calcio professionistico può davvero sfuggire un problema fisico tale da portare alla morte un atleta di soli 25 anni?

La risposta è davvero da ricercare in un omesso controllo o, invece, in una nuova minaccia doping? Forse si rischia di appesantire la lettura del presente articolo, tuttavia, solo osservando la complessità e minuziosità della normativa vigente una risposta potrà essere offerta.

Nel lontano 1995 viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Decreto Ministeriale 13/03/1995 “Norme per la tutela sanitaria degli sportivi professionisti” colmando un vuoto legislativo, assai imbarazzante, nonostante il risalto dato in Italia allo sport professionistico. L’intervento legislativo giunse, addirittura, a seguito delle istanze mosse da numerose Federazioni nazionali che, peraltro, al loro interno già si erano dotate di regolamenti specifici.
I punti chiave del Decreto, finalizzato alla tutela del corretto esercizio dell’attività sportiva professionistica, sono l’introduzione della scheda sanitaria e la definizione del ruolo di medico sociale.
Come riferito l’ambito di applicazione è lo sport professionistico.
La legge n. 91/81 intende per sportivo professionista il soggetto che “esercita l’attività sportiva a favore di una società e/o Federazione a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI che hanno riconosciuto il professionismo”.
La cosidetta "scheda sanitaria" accompagna l’atleta per l'intera durata della sua attività sportiva professionistica e viene aggiornata con periodicità almeno semestrale.
Nella scheda sanitaria, custodita dal medico incaricato, devono essere annotati tutti i controlli sanitari effettuati e, in caso di trasferimento dell’ atleta, la stessa deve essere trasmessa alla nuova società. La scheda la effettuazione degli accertamenti sanitari prescritti e contiene una sintetica valutazione medico-sportiva dello stato di salute attuale dell’atleta nonché sull’esistenza di eventuali controindicazioni, anche temporanee, alla pratica sportiva agonistica professionistica.
Il Decreto stabilisce che le Federazioni sportive nazionali devono integrare i propri regolamenti prevedendo la figura del medico federale e sociale, munito di una specifica specializzazione in medicina dello sport.

Le implicazioni medico legali che discendono da questi 2 articoli sono ovvie: il medico sociale, così come la società sportiva, vengono fortemente responsabilizzati riguardo la tutela dei propri tesserati. Particolarmente il medico sociale assume la responsabilità della tutela della salute degli atleti professionisti legati con la società sportiva.

Il medico sociale, avvalendosi dei centri di medicina dello sport autorizzati, cura l’effettuazione periodica dei controlli e degli accertamenti clinici previsti oltre ad occuparsi di ogni altro ulteriore accertamento che ritenga opportuno.
Si comprende facilmente come, in caso di violazione di tali obblighi, ci siano tutti gli estremi per configurare una responsabilità professionale di tipo contrattuale ed extracontrattuale assai grave, considerate anche le complesse questioni sul doping e sull’uso terapeutico di sostanze proibite o sull’uso difforme di farmaci rispetto alle indicazioni terapeutiche e/o ai dosaggi previsti.
Anche le norme organizzative interne della FIGC (Noif art. 44) impongono espressamente che le società debbano sottoporre i calciatori, gli allenatori, i direttori tecnici ed i preparatori atletici professionisti agli accertamenti sanitari previsti dalle leggi e dai regolamenti.
Ogni società ha l’obbligo di tesserare un Medico sociale responsabile sanitario iscritto in un apposito elenco presso il Settore Tecnico della F.I.G.C..
Durante l’espletamento di tale incarico ai medici incaricati dei prelievi viene attribuita la qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria e, per conseguenza, gli stessi hanno l’obbligo:
- di acquisire le notizie di reato e riferire al pubblico ministero gli elementi essenziali del fatto, indicando le relative fonti di prova;
- di comunicare, quando è possibile, le generalità, il domicilio e quanto altro utili ai fini della identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, della persona offesa e di coloro che siano in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti.
Sulla scorta di tali imposizioni il medico sportivo che, nell’esercizio della sua attività, venga a conoscenza di un fatto costituente reato, perseguibile d’ufficio, ha l’obbligo di denunciarlo all’autorità giudiziaria, pena la incriminazione per omissione di referto.
Se, peraltro, il reato di cui è venuto a conoscenza è uno di quelli previsti dalla normativa antidoping, il medico reticente risponde del più grave delitto di omessa denuncia, e viene punito con la reclusione fino ad un anno.
Nel caso in cui venga accertata la omissione del controllo sanitario le società sportive risponderanno in proprio per responsabilità oggettiva.

Le società sportive sono, dunque, tenute a tutelare la salute degli atleti sia attraverso la prevenzione degli eventi pregiudizievoli per la loro integrità psicofisica, sia attraverso la cura degli infortuni e delle malattie che possono trovare causa nei pesanti sforzi legati alla attività professionale. Come si è visto tale opera preventiva è posta a continui e pressanti controlli che non ammettono sbavature.

Alla luce di quanto fin qui riferito forse la soluzione all’enigma potrebbe nascondersi, paradossalmente, dietro un ulteriore domanda. A volte, infatti, porsi il giusto interrogativo rende il problema molto più semplice e scontato di quanto possa mai immaginarsi.
Quale può essere la causa della morte di un giovane atleta professionista di soli 25 anni sottoposto a controlli sanitari continuamente aggiornati e verificati?
Ora avete qualche elemento in più per rispondere a questo drammatico quesito.

Avv. Cristian Zambrini

 

 

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